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🌸 Empatia tra genitori - Il dono che ci fa crescere insieme

Essere genitori è un viaggio unico, emozionante ma spesso faticoso.  Ci sono giorni in cui ci sentiamo forti, pronti a gestire tutto, e altri in cui ci sembra di arrancare dietro a impegni, imprevisti e stanchezza. In questo percorso, una delle risorse più preziose che possiamo avere non è un consiglio perfetto o una regola universale, ma l’empatia reciproca. Cos’è davvero l’empatia? Empatia significa mettersi nei panni dell’altro, provare a vedere il mondo con i suoi occhi. Tra genitori, questo si traduce nella capacità di capire che le sfide dell’altro possono essere diverse dalle nostre, ma non per questo meno vere o importanti. Un genitore che ascolta senza giudicare, che riconosce la fatica altrui e che offre sostegno sincero, diventa un alleato prezioso. Perché ci fa sentire meglio? Nessun genitore è perfetto, eppure spesso ci sentiamo sotto esame: dagli sguardi al parco, dai commenti non richiesti, dal confronto con ciò che vediamo sui social. L’empatia spezza questa catena ...

💗 Conoscere per includere: il mondo arabo raccontato ai bambini – Intervista a Laura

In un mondo in cui le differenze culturali sono una ricchezza da coltivare fin dai primi anni di vita, ho sentito il bisogno di porre uno sguardo sul mondo arabo attraverso occhi nuovi: quelli dell’infanzia. Per questo, ho voluto intervistare Laura, appassionata di lingua araba e di intercultura, per riflettere insieme su come possiamo raccontare questa realtà ai bambini con parole semplici, rispettose e autentiche. Un dialogo che intreccia lingua, fiaba e gioco, nella convinzione che ogni ponte cominci da un piccolo gesto di conoscenza.

Come descriveresti il mondo arabo a un bambino di 3 o 4 anni?

Laura parte da una riflessione fondamentale: parlare di una cultura così ampia e complessa ai bambini richiede sensibilità. «Credo sia importante farlo attraverso concetti positivi e comprensibili, come la famiglia, le feste religiose, le abitudini a tavola. Mostrare somiglianze invece che differenze aiuta a costruire da subito un atteggiamento di inclusione e rispetto». 


Ci sono tradizioni o parole arabe che pensi possano essere belle da insegnare ai bambini anche in Italia?

«I bambini assorbono tutto come spugne, e introdurre la lingua araba a scuola, anche solo come materia facoltativa, può facilitare l’integrazione. I numeri parlano chiaro: in Italia ci sono sempre più bambini arabi, nati o arrivati qui. Comprendere la loro lingua e cultura è un gesto di apertura e responsabilità».


Qual è un malinteso comune sul mondo arabo che ritieni importante chiarire fin dalla tenera età?

«Uno degli errori più comuni è pensare che “arabo” significhi automaticamente “musulmano”. In realtà esistono arabi cristiani, ebrei, atei… e ci sono musulmani che non parlano arabo, come i pakistani. Ridurre tutto a un unico blocco è fuorviante e rischia di alimentare stereotipi. Ai bambini possiamo insegnare fin da subito che le identità sono molteplici e sfumate».


In che modo possiamo educare i bambini all’accoglienza verso chi è diverso da loro?

Laura cita subito la collana Upupa di Edizioni La Linea: albi illustrati bilingue, in italiano e arabo, pensati proprio per avvicinare i bambini al multiculturalismo. Uno dei titoli che consiglia è Un gatto combinaguai, una fiaba dolce e divertente. «Presentare un testo in due lingue permette al bambino di familiarizzare con suoni nuovi e di cogliere quanto in realtà abbiamo in comune. Anche le attività ludiche sono preziose: giochi bilingui, laboratori delle emozioni condivise, flash cards… ogni strumento è valido se aiuta a costruire empatia».


C’è un albo illustrato o una fiaba araba che consiglieresti per iniziare?

Oltre alla collana Upupa, Laura segnala anche Arabook, casa editrice online fondata da Enricz Battista, che porta in Italia storie della letteratura araba per l’infanzia. Un progetto importante, che amplia l’orizzonte culturale dei nostri scaffali e delle nostre menti.


Se un bambino ti chiedesse: “Perché quella mamma ha il velo?”, come risponderesti?

«Il velo, che si chiama hijab, è un simbolo religioso, come la croce cristiana o la kippah ebraica. Purtroppo in Italia c’è l’idea errata che chi lo indossa sia sottomessa o obbligata. In realtà l’obbligo è spesso di natura socio-politica, non religiosa. Ai bambini dobbiamo insegnare a non giudicare in base all’aspetto, ma alle idee e alle scelte personali. Educare al rispetto è il regalo più grande che possiamo fare loro».


Laura chiude l’intervista con una riflessione che sentiamo di condividere pienamente: 

«Le menti giovani sono ricettive, il nostro compito è riempirle di valori positivi, inclusivi e accoglienti. Educare all’apertura è l’investimento più importante che possiamo fare per il futuro».




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